18.02–21.07.2024

A cura di
Tobia Bezzola
Taisse Grandi Venturi

In collaborazione con
Kunsthaus Zürich
Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv

Pittore, grafico, redattore, regista, editore e gallerista, ma anche fotoreporter e autore di ritratti d’artista – in particolare di Alberto Giacometti, amico di una vita. Grazie alla sua lunga attività, Ernst Scheidegger (1923–2016) ha scritto un capitolo della storia della fotografia.

Il percorso espositivo si apre con un’ampia selezione di scatti giovanili, perlopiù inediti e risalenti al periodo 1945–1955, cui seguono i celebri ritratti d’artista, realizzati successivamente e su commissione, a partire dalla metà degli anni Cinquanta. Molti di questi sono diventati dei classici: da Joan Miró a Salvador Dalí, da Max Ernst a Marc Chagall, in mostra sfilano le artiste e gli artisti con cui, attraverso l’obiettivo, Scheidegger si è trovato faccia a faccia.

I ritratti fotografici dialogano liberamente con una selezione di dipinti e sculture, provenienti in gran parte dal Kunsthaus Zürich oltre che da altre importanti collezioni pubbliche e private. Con le loro opere, le protagoniste e i protagonisti della storia dell’arte del Novecento vanno così a scandire la mostra dedicata a un’eclettica figura di artista che per anni ha condiviso con loro l’avventura creativa.

Concepita in occasione del centenario della nascita di Ernst Scheidegger e frutto di un’ampia rivalutazione del suo archivio fotografico, Faccia a faccia non solo rappresenta il dovuto omaggio a uno dei più importanti fotografi svizzeri del XX secolo, ma offre al tempo stesso uno spaccato corale e intimo del milieu artistico e culturale dell’avanguardia del secolo scorso.

Ernst Scheidegger e Peter Münger
Alberto Giacometti
1964–1966
video, 28 min


Grazie a Werner Bischof, oltre a diventare membro della prestigiosa agenzia Magnum, Ernst Scheidegger scopre la passione per il cinema. Se la morte prematura ha precluso all’amico e mentore ogni sviluppo nella settima arte, Scheidegger ha realizzato invece numerosi documentari.

L’esempio più noto ha per protagonista il suo modello più importante. Prodotto tra il 1964 e il 1966, il film-documentario Alberto Giacometti si apre con l’artista che ci conduce all’interno del suo atelier, davanti al cavalletto, e termina invece al tavolo di modellazione, seguendo un ritmo che rispecchia la pratica artistica di Giacometti e il suo processo creativo, che non si esaurisce in una singola opera ma che è continuamente in divenire, sans fin, come la Parigi che fa da sfondo a molte delle riprese.

Scheidegger sconosciuto

Forti contrasti, prospettive stranianti e una messa a fuoco disinvolta: le prime fotografie di Ernst Scheidegger sono il risultato, onirico e fosco, delle peregrinazioni di un giovane flâneur che si impegna a disimparare tutto ciò che ha appreso durante gli anni della formazione.

Da Belgrado a Montecassino, dalla Val Verzasca a Parigi, tra un viaggio di reportage e l’altro, la strada diventa il luogo ideale dove immortalare la vita che, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, si riversa e si consuma nuovamente all’aperto, tra feste popolari e manifestazioni sportive, tra i padiglioni del circo e le luci del luna park. Il suo occhio fotografico si fissa spesso sull’essere umano: ne emerge una rappresentazione lirica, malinconica e personale, ma dal forte accento sociale.

Il mondo che Scheidegger ci mostra è spesso buio, ma quando la luce compare si fa immediatamente accecante: le modulazioni luminose sono restituite attraverso un’ampia gamma di grigi, secondo una scala cromatica che dal nero profondo arriva fino al bianco acceso.

Alberto Giacometti (Borgonovo, 1901 – Coira, 1966)

Ernst Scheidegger conosce Alberto Giacometti per caso nel 1943, quando è di stanza a Maloja, in Bregaglia, durante il servizio militare. Lo fotograferà spesso negli anni Cinquanta e Sessanta, nell’atelier di Parigi, a Stampa e Maloja, e infine al suo funerale a Borgonovo nei pressi di Stampa, in un freddo giorno d’inverno del gennaio 1966.

Della profonda amicizia tra i due è rimasta traccia in una serie di capolavori fotografici, ormai divenuti classici. Dalle prime immagini scure e opache scattate nel celebre atelier di rue Hippolyte-Maindron 46, agli scatti successivi e più misurati del lavoro su La Grande Tête per la Chase Manhattan Plaza a New York, che occuperà Giacometti fino alla morte, le fotografie rivelano un rapporto di stima e fiducia reciproca.

Una sola volta, a Stampa, durante sedute di posa lunghe due inverni (1958–1959), i ruoli si sono invertiti: Alberto Giacometti ha dipinto un unico Ritratto di Ernst Scheidegger. Come è caratteristico del tratto dell’artista, tutto ciò che è accidentale scompare ed è il fotografo, contrariamente al solito, a restare immobile, cercando di resistere all’intenso interrogatorio artistico del pittore.

Curiosamente, esiste un’unica fotografia che ritrae i due insieme, realizzata in un anno imprecisato all’interno di un circo italiano.

Ritratti d’artista

Ernst Scheidegger arriva nella Ville Lumière nel 1949: in quegli anni fecondi, le discussioni che iniziano in certi caffè di Saint-Germain-des-Prés e Montparnasse spesso terminano all’interno di un atelier. È così che inizia per il fotografo una consuetudine che più tardi si trasforma in lavoro. 

Nella sua produzione fotografica i ritratti di artiste e artisti iniziano a moltiplicarsi intorno alla metà degli anni Cinquanta. Sono quasi sempre opere su commissione, richieste innanzitutto da riviste come «Cahiers d’Art», «Verve» o «Du», ma utilizzate spesso anche nei cataloghi della galleria parigina di Aimé Maeght, nei volumi illustrati della casa editrice Arche e, successivamente, in quelli dello stesso Scheidegger.

Il successo nasce dall’abilità a lavorare con discrezione, all’ombra della creazione. Ripresi al lavoro e tra gli strumenti del mestiere, le artiste e gli artisti giocano con l’obiettivo ma compaiono raramente in posa, impegnati in atelier, come Germaine Richier, oppure nell’intimità delle loro case, come František Kupka. Dietro alcune fotografie ci sono storie di incontri personali, alleanze, apprezzamento reciproco; dietro molte altre contatti più casuali e fugaci. Lungi da qualsiasi messa in scena, i differenti gradi di intimità e vicinanza ai soggetti assegnano a ciascuno scatto tonalità e carattere differenti.

Cuno Amiet
Soletta, 1868 – Oschwand, 1961

«Cuno Amiet, padrino di Alberto Giacometti, lavorava nel suo studio curato, dai tappeti persiani. Parlava solo con ironia della nuova generazione di artisti che, nonostante la loro fama, ’vivono nelle caverne’». Così ricorda Ernst Scheidegger l’incontro con Cuno Amiet, avvenuto nel 1960 nel suo studio nei pressi di Berna. Insieme a Giovanni Segantini e Ferdinand Hodler, tutti intimi amici della famiglia Giacometti, Amiet è considerato uno dei pionieri del modernismo svizzero.

Ernst Morgenthaler
Kleindietwil, 1887 – Zurigo, 1962

La vocazione per la pittura non è stata precoce per Ernst Morgenthaler: ha ormai 27 anni quando, grazie a uno zio, raggiunge Cuno Amiet a Oschwand, dove in un anno e mezzo arriva a padroneggiare la pittura a olio. A partire dal suo trasferimento a Zurigo negli anni Trenta, Morgenthaler partecipa attivamente alla vita culturale della città e coltiva numerose amicizie, con Hermann Hesse, Karl Geiser e Hermann Hubacher. È nel suo studio zurighese che Ernst Scheidegger lo immortala negli anni Sessanta.

Oskar Kokoschka
Pöchlarn, 1886 – Montreux, 1980

Nel 1953 Oskar Kokoschka, «il più selvaggio» degli espressionisti viennesi, si stabilisce a Villeneuve, nel Cantone Vaud. Durante il lungo soggiorno svizzero sono frequenti le visite presso la stamperia Wolfensberger a Zurigo, celebre punto di incontro e ritrovo di numerosi artisti, dove Scheidegger lo fotografa nel 1970. Sono anni di tranquillità e agiatezza: la sua pittura, sempre più acclamata, si allontana progressivamente dall’analisi psicologica per trattare gli spazi aperti, i paesaggi e le vedute di città. Della sua produzione precedente resta riconoscibile il caratteristico segno a spirale.

Max Ernst
Brühl, 1891 – Parigi, 1976

Checché ne dicesse Salvador Dalí e nonostante i litigi e l’espulsione dal gruppo da parte di André Breton, Max Ernst è l’artista surrealista per eccellenza. Dopo averlo incontrato a Parigi, Scheidegger lo fotografa nel 1974 a Seillans, nel sud della Francia, dove all’epoca l’artista viveva con l’ultima moglie, la pittrice Dorothea Tanning. Secondo un aneddoto, erano state proprio le pietre dipinte da Ernst in occasione del suo soggiorno in Engadina nell’estate del 1935, a condurre Scheidegger sulla soglia dell’atelier di Alberto Giacometti a Maloja.

Salvador Dalí
Figueres, 1904 – Figueres, 1989

Intorno alla metà degli anni Cinquanta, quando Ernst Scheidegger lo fotografa su incarico di Arnold Kübler, caporedattore della rivista «Du», Salvador Dalí è già una star mediatica. Negli scatti, intrisi di giocosa ironia, il pittore spagnolo si staglia sullo sfondo del suo atelier a Portlligat. I profili e le forme del variegato territorio che ne circonda la baia sono presenze assidue nei dipinti dell’artista che solo nei luoghi della sua giovinezza afferma di sentirsi a casa, come legato da un cordone ombelicale.

Joan Miró
Barcellona, 1893 – Palma di Maiorca, 1983

Joan Miró condivide con Salvador Dalí, che introduce nella cerchia dei surrealisti, il legame viscerale con la Catalogna. È soprattutto Mont-roig a far parte dei paesaggi emotivi dell’artista: il piccolo paese nei pressi di Tarragona è il contrappeso ideale dell’agitazione intellettuale vissuta a Parigi prima e a New York poi. I lunghi ritiri ne consolidano l’identità. È qui, all’interno dell’atelier nella vecchia tenuta di famiglia, che Scheidegger lo fotografa nel 1953 dopo averlo conosciuto qualche anno prima a Parigi.

Marc Chagall
Vitebsk, 1887 – Saint-Paul-de-Vence, 1985

Pur con colori audaci e toni fiabeschi, Marc Chagall ha portato molto del vissuto personale nelle sue opere, in particolare la sua condizione di esule: il volo è tra i temi ricorrenti della sua produzione, con il senso di vertigine, perdita di radici e instabilità che questo comporta. L’ultima tappa di un’esistenza fatta di continui spostamenti è Saint-Paul-de-Vence, dove si trasferisce nel 1949. È qui che Ernst Scheidegger lo fotografa nel 1955, grazie alla comune amicizia con il gallerista Aimé Maeght.

Le Corbusier (Charles-Edouard Jeanneret)
La Chaux-de-Fonds, 1887 – Roquebrune-Cap-Martin, 1965

Appena trentenne, Ernst Scheidegger resta affascinato da Chandigarh, la nuova capitale dello stato federale del Punjab, progettata come «città ideale» dall’architetto Le Corbusier, che ha occasione di fotografare appena un anno dopo nel suo atelier parigino (1956). Qui trascorre le mattine a dipingere, prima di recarsi nel celebre studio in rue de Sèvres. Pittura e architettura sono per Le Corbusier due parti complementari di uno stesso universo artistico, all’interno del quale la pittura rappresenta il laboratorio dove creare forme ed elementi primari dell’invenzione plastica. 

Hans Arp
Strasburgo, 1886 – Basilea, 1966
Sophie Taeuber-Arp
Davos, 1889 – Zurigo, 1943

Come Le Corbusier, anche Hans Arp – che dal 1944 in reazione al regime nazionalsocialista inizierà a farsi chiamare Jean – non può essere inquadrato nel movimento surrealista. Le forme metamorfiche e biomorfe e i concetti di caso e automatismo nella sua opera provengono dal Dadaismo, il movimento che contribuisce a fondare a Zurigo nel 1916 insieme a Sophie Taeuber. Mentre i legami dadaisti si dissolvono presto, Hans e Sophie si sposano a Pura, in Ticino, nel 1922, ufficializzando così un’unione da cui scaturiranno anche opere realizzate a quattro mani.
Malgrado i frequenti soggiorni e gli stretti rapporti che entrambi gli artisti intrattenevano con la Svizzera, e soprattutto con Max Bill, Scheidegger incontra Arp solo nel 1949 a Parigi presso la galleria Maeght. Da quel momento in poi lo fotografa a più riprese tra il 1953 e il 1958 nel suo atelier di Meudon, che Taeuber aveva progettato.
Il ritratto di quest’ultima, prematuramente scomparsa, è quello di un’assenza: nel 1958 Scheidegger ne immortala lo studio vuoto, lasciato invariato dal marito.

František Kupka
Opočno, 1871 — Puteaux, 1957

Membro di Abstraction Création, al pari di Taeuber-Arp, Arp, Max Bill e Georges Vantongerloo, che aveva fondato il gruppo nel 1931 in aperto contrasto con i surrealisti, František Kupka è tra i pionieri dell’astrazione. L’adesione a un gruppo è tuttavia un’eccezione per il pittore boemo: l’indole schiva e ritirata emerge chiaramente negli scatti che Ernst Scheidegger realizza nel 1955 nell’appartamento della periferia parigina di Puteaux, dove l’artista ha condotto gran parte della sua vita segnata da gravi difficoltà finanziarie. 

Fernand Léger
Argentan, 1881 – Gif-sur-Yvette, 1955

È nella galleria parigina di Aimé Maeght che Ernst Scheidegger conosce Fernand Léger. Il fotografo lo ammira profondamente e lo visita di frequente negli anni Cinquanta nel suo atelier in rue Notre Dame des Champs. Sono questi gli ultimi anni di vita del pittore, segnati da una fervida attività e un rinvigorito credo politico. Al centro delle sue tele, dai colori brillanti e dai contorni ben definiti, c’è l’entusiasmo per il progresso meccanico e la fascinazione per «l’oggetto utile, inutile, bello».

Georges Vantongerloo
Anversa, 1886 – Parigi, 1965

Nonostante pratiche artistiche molto diverse, Max Bill e Georges Vantongerloo sono stati a lungo legati da una salda amicizia, oltre che dalla comune aspirazione ad aprire nuovi sviluppi nel campo dell’astrazione. È proprio nell’atelier zurighese di Max Bill che Scheidegger incontra Vantongerloo per la prima volta, facendogli visita poi di frequente nel suo studio parigino, non lontano da quello di Alberto Giacometti. Nasce così un legame che proseguirà fino alla morte improvvisa dell’artista belga.

Max Bill
Winterthur, 1908 – Berlino, 1994

Formatosi in ambiente Bauhaus, Max Bill cerca per tutta la vita di promuovere le idee dell’avanguardia moderna nell’epoca successiva alla Seconda guerra mondiale, attualizzandole e sviluppandole, forte dell’idea che grafica, design, architettura e arte fossero da praticare come un’unica attività essenziale e in grado di migliorare il presente, fino al più piccolo dettaglio, anche attraverso la progettazione di un semplice sgabello. 
Bill è stato un mentore fondamentale, oltre che uno dei primi modelli di Ernst Scheidegger: già tra i suoi scatti giovanili compaiono fotografie che documentano l’attività creativa del suo docente dell’epoca. È infatti tra i banchi della Kunstgewerbeschule di Zurigo che germoglia il seme di un’amicizia che più tardi, per entrambi, avrebbe dato preziosi frutti. Da lì in poi, i percorsi professionali dei due continueranno a intrecciarsi negli anni e dagli scatti di Scheidegger si possono cogliere alcune tappe importanti della parabola artistica di Bill: l’installazione della prima versione di Kontinuität a Zurigo (1947), la mostra Die gute Form a Basilea (1949), gli insegnamenti a Ulma (1954), fino al lavoro in atelier.
Scheidegger ha inoltre dedicato a Max Bill uno dei suoi film più importanti (Max Bill, 1995).

Fritz Glarner
Zurigo, 1899 – Locarno, 1972

Più giovane di Mondrian, con il quale intrattenne un intenso e amichevole scambio, ma più anziano rispetto alla generazione degli artisti concreti svizzeri, Fritz Glarner conosce Scheidegger grazie a Georges Vantongerloo. Glarner, pur vivendo all’epoca a New York, aveva mantenuto un grande atelier a Parigi, dove aveva trascorso gli anni della formazione a contatto con i gruppi d’avanguardia. Nel 1966 viaggia a Zurigo appositamente per la prima del documentario Alberto Giacometti di Scheidegger. Il pittore trascorre i suoi ultimi anni di vita in Ticino, donando al cantone un’importante corpus di opere, oggi parte delle collezioni del MASI.

Richard Paul Lohse
Zurigo, 1902 – Zurigo, 1988

Artista, grafico e illustratore, insieme a Max Bill – con il quale condivide l’urgenza politica e l’interesse per la musica – è la forza trainante degli anni d’oro della Zurigo concreta. Dopo l’avventura dadaista, infatti, la città ritorna negli anni Trenta a essere terreno fertile per l’avanguardia grazie all’influsso di numerosi artisti in fuga dal nazionalsocialismo: sono gli anni degli «Zürcher Konkrete» e di Allianz – Vereinigung moderner Schweizer Künstler, l’associazione fondata dallo stesso Lohse nel 1937.
È negli anni Quaranta che l’artista si avvicina all’arte concreta: dal 1942 le sue tele si concentrano sulla suddivisione orizzontale e verticale di campi di colore ordinati in sequenze modulari e seriali. I moduli sono costituiti da quadrati o rettangoli, disposti secondo regole matematiche e principi compositivi che trovano analogie nelle tecniche tonali della musica dodecafonica. Dal 1947 al 1955 ha progettato la rivista «Bauen und Wohnen» e dal 1958, in qualità di co-editore, la «Neue Grafik», grazie alla quale conosce Augusto Giacometti, Hans Arp e Le Corbusier. Lohse ha partecipato a documenta 4 (1968) e documenta 7 (1982).
Ernst Scheidegger fotografa l’artista nel suo atelier nel 1960: alle sue spalle le sue opere, razionali e rigorose.

Verena Loewensberg
Zurigo, 1912 – Zurigo, 1986

Anima poetica dell’arte concreta zurighese, Verena Loewensberg entra a far parte del circolo ristretto degli «Zürcher Konkrete», insieme a Richard Paul Lohse, Camille Graeser e Max Bill, grazie a quest’ultimo che conosce nel 1935 nell’entourage parigino di Abstraction Création. A muovere Loewensberg è la ricerca di una connessione pittorica tra razionalità e sentimento, sistematicità e invenzione. Lo scatto in mostra è stato realizzato da Ernst Scheidegger nel 1971 nell’atelier dell’artista a Zurigo.

Marino Marini
Pistoia, 1901 – Viareggio, 1980

In fuga da Milano, nel 1943 Marino Marini si rifugia a Tenero, in Ticino. Il soggiorno svizzero è fondamentale per l’artista: le forme delle sue sculture, dapprima solide e compatte, si tendono in pose concitate e sofferte, mentre le superfici si fanno scabre e graffiate. Risale a questi anni il primo incontro con Ernst Scheidegger, che più tardi lo fotografa nel suo atelier di Milano. Nel 1959 Scheidegger pubblica inoltre una serie di disegni che l’artista gli aveva donato in un volume edito da Arche Verlag. 

Henry Moore
Castleford, 1898 – Perry Green, 1986

Integrandosi e alternandosi continuamente alla scultura, il disegno è parte fondamentale dell’opera di Henry Moore. Tra i suoi schizzi più noti, gli Shelter Drawings sono il risultato delle notti trascorse dall’artista in diverse stazioni della metropolitana di Londra, utilizzate durante la Seconda guerra mondiale come rifugi sotterranei. Ernst Scheidegger, che immortala Moore nel 1965 all’interno della stamperia Wolfensberger, ne avrebbe voluto realizzare una pubblicazione che mai si concretizzò. 

Germaine Richier
Grans, 1902 – Montpellier, 1959

La figura umana fu sempre al centro dell’opera di Germaine Richier, come fu anche per Auguste Rodin e Émile-Antoine Bourdelle, suoi maestri. Scheidegger incontra per la prima volta la scultrice francese a Zurigo, dove quest’ultima trascorre gli anni della Seconda guerra mondiale insieme al primo marito, lo scultore Otto Charles Bänninger. Gli scatti in mostra, realizzati nel 1953 a Parigi, documentano gli anni più originali della produzione dell’artista, in cui mondo animale, umano e vegetale si mescolano, dando vita a esseri ibridi, dai corpi e dalle identità in costante metamorfosi.

Eduardo Chillida
San Sebastián, 1924 – San Sebastián, 2002

Nel 1948 lo scultore basco Eduardo Chillida si trasferisce a Parigi e vi resta tre anni. Entra così in contatto con il mercante d’arte Aimé Maeght, diventando il più giovane artista rappresentato dalla sua galleria, dove Scheidegger vede le sue opere in diverse occasioni. Il primo incontro tra i due avviene tuttavia presso la Fondazione Maeght a Saint-Paul-de-Vence nel 1978. Ne risultano scatti in cui emerge l’aspetto più artigianale della pratica dell’artista, attento al rispetto della verità del materiale e alle sue caratteristiche specifiche e simboliche.

Henri Laurens
Parigi, 1885 – Parigi, 1954

L’interesse e l’apprezzamento per le sculture di Henri Laurens accomunava Ernst Scheidegger e Alberto Giacometti, il quale appena arrivato a Parigi, nel 1922, conosce il Cubismo proprio grazie a loro. A partire da qualche anno dopo, lo scultore francese comincia tuttavia ad abbandonarne le forme rigorose per adottare forme plastiche più organiche e aderenti al dato realistico. È in questa fase che Ernst Scheidegger ha occasione di conoscerlo e fotografarlo nel suo atelier di Parigi nel 1952, qualche anno prima della sua morte.

Cenni biografici

1923
Ernst Scheidegger nasce il 30 novembre a Rorschach, Cantone San Gallo.

1940
Inizia un apprendistato da vetrinista presso i grandi magazzini Jelmoli a Zurigo.

1943
Di stanza a Maloja (Cantone Grigioni) per il servizio militare, incontra per la prima volta Alberto Giacometti.

1944
Inizia a dipingere. Le sue opere saranno esposte in numerose mostre personali tra il 1950 e il 1981.

1945
Frequenta la classe di fotografia di Hans Finsler presso la Kunstgewerbeschule di Zurigo, dove segue anche i corsi di Alfred Willimann e Max Bill.

1946
Si offre volontario per contribuire alla ricostruzione dei territori europei devastati dalla guerra: ha così occasione di uscire dai confini nazionali e viaggiare in Jugoslavia, nei Paesi Bassi e in Cecoslovacchia.

1948
Inizia a lavorare come assistente del suo docente, Max Bill, e contemporaneamente nell’atelier del fotografo Werner Bischof, che lo autorizza a utilizzare la camera oscura per sviluppare anche i propri lavori. 

1949
La rivista «Schweizer Illustrierte» pubblica il suo primo reportage realizzato all’interno del riformatorio di Arese, nei pressi di Milano.
Grazie a Bill, si trasferisce a Parigi per lavorare alla progettazione e all’allestimento delle mostre itineranti promosse dal Piano Marshall. In questi anni, grazie alla collaborazione con la galleria Aimé Maeght e le riviste «Cahiers d’Art» e «XXe Siècle», per le quali realizza i suoi primi ritratti d’artista, inizia a frequentare assiduamente la scena artistica parigina e in particolare Georges Vantongerloo, Joan Miró, Henri Laurens e Alberto Giacometti.

1952
L’agenzia Magnum Photos lo ingaggia come corrispondente, affidandogli alcuni reportage nel Mediterraneo orientale, in Medio Oriente e nel Sud-Est asiatico. I suoi scatti vengono pubblicati su «Paris Match», «Picture Post», «Life», «Collier’s», «Holiday» e «Stern».

1953
Inizia a collaborare come operatore di ripresa e addetto alle pubbliche relazioni per varie produzioni cinematografiche. Affascinato dalla libertà d’espressione che sembra offrire quel mondo, insieme a Werner Bischof e con il supporto di Robert Capa, progetta la realizzazione di alcuni documentari.

1956
A seguito delle tragiche morti di Werner Bischof e Robert Capa (1954), abbandona l’attività di fotoreporter e accetta la cattedra di progettazione grafica presso la Hochschule für Gestaltung di Ulma che Max Bill aveva contribuito a fondare. Vi insegnerà per un biennio.

1957
Lavora alla collana Horizont edita dalla casa editrice zurighese Arche Verlag, curando pubblicazioni su Joan Miró, Hans Arp, Marino Marini e Alberto Giacometti.

1958
Il Museo di Ulma gli dedica la prima mostra personale sulla sua attività di fotografo.

1960
Visita l’India a più riprese: ha così occasione di documentare la nascita di Chandigarh, la nuova capitale dello stato federale del Punjab, progettata da Le Corbusier. Su incarico della Ford Foundation, collabora alla fondazione del National Institute of Design di Ahmedabad.
Succede a Gotthard Schuh come photo editor del supplemento settimanale del quotidiano «Neue Zürcher Zeitung», incarico che ricopre fino al 1981. Nel supplemento saranno pubblicati circa duecento suoi reportage fotografici.

1962
Dopo aver progettato diversi volumi per altri editori, fonda una casa editrice con la quale pubblica un testo di Jean Genet su Alberto Giacometti e il suo atelier, il primo omaggio letterario allo studio dell’artista. La pubblicazione è corredata da fotografie dello stesso Scheidegger e da disegni realizzati appositamente da Giacometti.

1964
Cura la presentazione grafica della sezione L’art de vivre – Bilden und gestalten dell’Expo 64 di Losanna.

1966
Termina la prima versione del documentario su Alberto Giacometti, al quale riesce a mostrarlo, purtroppo senz’audio, il giorno prima della morte nell’ospedale cantonale di Coira.

1971
Apre una galleria d’arte a Zurigo, che resterà attiva fino al 1992.

1980
Lavora come regista indipendente per la televisione svizzera (l’odierna SRF), con la quale collabora fino al 1984.

1990
Lavora a un film su Max Bill che terminerà solo qualche anno più tardi. È il secondo film dedicato all’ex docente e mentore dopo il documentario dedicato all’installazione della scultura Kontinuität a Francoforte (1988).

1992
Il Kunsthaus Zürich dedica a Scheidegger un’ampia retrospettiva, celebrando tutti gli aspetti della sua produzione. La sezione fotografica darà vita a un’esposizione itinerante che, supportata da Pro Helvetia, negli anni successivi toccherà Francia, India e Pakistan.

1997
Insieme a Heiner Spiess fonda a Zurigo la casa editrice Scheidegger & Spiess.

2003
Tra i numerosi riconoscimenti, la città di Zurigo gli conferisce la medaglia Heinrich Wölfflin per la divulgazione artistica.

2010
Nasce la Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv con sede a Zurigo.

2016
Muore a Zurigo il 16 febbraio.